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Poesia Visiva

La Poesia Visiva, termine peraltro improbabile di cui ci si serve per significare un ampio panorama di esperienze, si sviluppa nel nostro secolo sotto la spinta di due impulsi apparentemente contrastanti, ma tra loro complementari.

Essa trae origine dalla frantumazione del linguaggio, cui lavorano, da un lato il futurismo, dall’altro il dadaismo. I primi intesero e praticarono un simile dissesto come urlo del corpo  e percepirono la dialettica come una forza interna al linguaggio.

Per i secondi si trattò di una regressione “anticulturale”, che portava il suo attacco nel cuore della tradizione dell’arte, caricandola di quella sarcastica inutilità che, sola, poteva opporsi al senso produttivistico del secolo.

Ad ogni buon conto, in entrambi i casi si assisteva ad uno sgretolamento della forma poetica ed a una sterminazione della grafia.  Era il segno della totalità dell’arte? Forse sì. Era comunque il terreno su cui, secondo parametri relativi ai diversi momenti storici, la poesia visiva svilupperà in seguito la propria progettualità. Va ribadito che, sotto le vesti di un’estrema, perfino ermetica specializzazione della ricerca, essa non sopporta limiti, né categorie, né esperienze separate. A ben vedere, i poeti visivi sono gli unici a non arrendersi alla separatezza dei compiti e dei ruoli.

Gli unici anti-concettuali a lavorare sull’arte come concetto.
In un mare estremamente mosso, che vedeva succedersi ipotesi e ricerche disseminate su tutto il quadrante del linguaggio, ognuna delle quali era pronta a ritagliarsi il suo settore di lavoro, i poeti visivi ribadirono la loro indole insofferente ai limiti e alle spartizioni. Spesso fraintesi, e quasi mai intesi nel loro sogno lirico e nella loro concretezza poetica, essi rivendicarono e fondarono una pratica dell’arte “tentacolare”, sarcastica e disperata, ancora una volta totale e perciò sorprendente in un panorama di così nette distinzioni di ruoli.

Come disse Giorgio Cortenova, i “significati” irrisi dalla scorrevole magia dei “significanti”, e questi ultimi sorpresi nella proliferazione della gratuità, costituirono e costituiscono la forza dialettica e il terreno di manovra per una maniera d’intendere l’arte che è nello stesso tempo un modo di concepirne la critica e la dissacrazione: con un fondo, però, d’ineludibile nostalgia, che forse rappresenta la voce più intimamente lirica della poesia visiva dei nostri giorni.